Gli affitti brevi stanno cambiando le città italiane?
Pro e contro degli affitti brevi
C’è una domanda che aleggia nei corridoi delle assemblee condominiali, nei talk show del sabato pomeriggio e persino nelle chiacchiere tra amici al bar:
“Gli affitti brevi stanno rovinando le città italiane?”
Domanda legittima, certo. Ma anche incompleta. Perché a volte, dietro un giudizio netto, si nasconde una realtà più sfumata, fatta di storie, di trasformazioni silenziose e di case che diventano porti di passaggio per viaggiatori.
Per alcuni, gli affitti brevi sono il male assoluto: colpevoli della crisi abitativa, della gentrificazione che svuota i quartieri storici e li rende cartoline senz’anima, dell’overtourism che stravolge l’equilibrio urbano.
Per altri, invece, rappresentano una rinascita economica, un modo più umano e autentico di fare ospitalità, una chance per piccole città e periferie di emergere e raccontarsi.
Chi ha ragione? Forse, tutti. E forse, nessuno.
I vantaggi degli affitti brevi
Flessibilità e reddito
Gli affitti brevi in Italia rappresentano una forma di ospitalità sempre più apprezzata. Sono nati dalla spinta della sharing economy, che ha reso possibile per milioni di persone mettere a reddito le proprie abitazioni, offrendo esperienze più autentiche e accessibili rispetto al turismo tradizionale.
Per i proprietari, è un’opportunità concreta perché significa
- evitare vincoli lunghi
- azzerare il rischio di morosità
- massimizzare i ricavi.
A Venezia, ad esempio, un appartamento affittato su Airbnb può generare fino a 26.250 euro l’anno, contro i circa 9.800 euro di un affitto tradizionale. A Firenze si arriva a 23.000 euro.
Una vera esperienza locale
Ma c’è anche un valore sociale: gli affitti brevi riattivano immobili sfitti, creano posti di lavoro (pulizie, manutenzione, accoglienza), portano nuova vita in zone periferiche o trascurate dai circuiti turistici tradizionali. Non solo nei centri storici, ma anche quartieri emergenti e borghi meno noti possono beneficiare di questa dinamica.
Gli svantaggi degli affitti brevi
Gentrificazione e overtourism: quando il troppo stroppia
Uno dei rischi più discussi è la gentrificazione: i quartieri popolari diventano progressivamente più “trendy”, i residenti storici vengono spinti fuori da affitti sempre più alti, e le case si trasformano in alloggi per viaggiatori. Le città perdono identità, diventano vetrine più che luoghi vissuti.
Venezia è l’esempio più emblematico: quasi un appartamento su due nel centro storico è destinato a locazione breve. Il turismo, da risorsa, diventa ingombro. Si parla di overtourism, cioè quel fenomeno per cui le città non riescono più a reggere l’impatto del flusso continuo di visitatori. A quel punto, non è più turismo. È stress urbano.
Il problema, però, non è l’affitto breve in sé. Ma l’assenza di una regolamentazione chiara e bilanciata. Quando manca una visione urbanistica, un piano di sviluppo condiviso, tutto si squilibra.

La normativa c’è (e sta cambiando)
Fortunatamente, la normativa sugli affitti brevi in Italia si sta evolvendo. Il decreto legge 50/2017 ha stabilito le basi fiscali: cedolare secca al 21%, obblighi per gli intermediari digitali, limiti di gestione (max 4 immobili).
E dal 1° gennaio 2025, ogni struttura dovrà essere identificata con un Codice Identificativo Nazionale (CIN). Una misura di trasparenza e legalità, che permetterà a Stato e Comuni di monitorare il fenomeno, raccogliere dati reali e agire in modo mirato.
È la direzione giusta: regolare non significa ostacolare, ma valorizzare ciò che funziona e correggere ciò che disturba.
Un’agenzia può fare la differenza
In questo contesto, il ruolo delle agenzie di affitti brevi è fondamentale. Chi gestisce ospitalità temporanea ha oggi una responsabilità sociale oltre che economica.
Un’agenzia attenta come la nostra può:
- guidare e aiutare i proprietari
- selezionare ospiti rispettosi
- collaborare con il territorio e le istituzioni
- offrire esperienze autentiche, che valorizzino la cultura locale
Non è un semplice servizio. È una nuova forma di gestione urbana, che può contribuire a costruire un equilibrio tra residenza e turismo.

Affitti brevi come laboratorio sociale: il valore invisibile dell’incontro
C’è un aspetto degli affitti brevi che spesso sfugge ai numeri, ma che forse è il più prezioso di tutti: la possibilità di creare relazioni nuove e significative tra persone, culture e modi di vivere.
Sociologi e antropologi parlano di spazi-limite, luoghi dove l’identità si ridefinisce, dove l’estraneo diventa familiare. E molte case in affitto breve, soprattutto quando gestite con cura e attenzione, diventano esattamente questo: luoghi d’incontro, ponti tra mondi diversi.
In un mondo sempre più veloce e impersonale, soggiornare in un appartamento – anziché in un hotel anonimo – consente un’esperienza più autentica e relazionale. Si cucina con prodotti locali, si fanno due parole con il vicino, si entra nel ritmo del quartiere.
Per l’ospite è un’immersione culturale, per il proprietario è una finestra sul mondo.
Chi affitta spesso racconta di conversazioni inaspettate, di scambi culturali profondi, di ospiti diventati amici, di famiglie australiane che portano il Parmigiano a casa perché glielo ha fatto scoprire la signora del terzo piano.
Tutto questo ha un valore. Perché abitare non è solo possedere uno spazio, ma condividerlo, viverlo insieme agli altri. Gli affitti brevi, in questo senso, possono aiutare a riscoprire il senso della comunità, soprattutto in contesti urbani dove l’anonimato è la norma.

Vivere insieme: turisti e residenti, non è una sfida impossibile
La vera questione non è scegliere se vogliamo gli affitti brevi o no. Ma come vogliamo gestirli. Perché le città italiane – meravigliose, fragili, complesse – meritano modelli flessibili, non ideologici.
Siamo tutti un po’ viaggiatori, un po’ cittadini. E gli affitti brevi, se ben gestiti, possono essere il ponte tra queste due dimensioni. Un modo per vivere le città senza consumarle, per accogliere senza snaturare, per guadagnare senza sacrificare il bene comune.
Affitti brevi, riflessioni lunghe
Forse la domanda iniziale – “Gli affitti brevi stanno rovinando le città italiane?” – non ha una risposta definitiva. Ma ha senso continuare a porsela, perché solo discutendone possiamo trovare un equilibrio vero.
Le città, in fondo, sono di chi le vive, ma anche di chi le ama. Anche solo per qualche notte.



